
E’ durata pochi giorni la libertà di Sebastiano Alesci, l’architetto che secondo le accuse, è al centro del sistema per truccare appalti che aveva, come riferimento politico, il deputato regionale ed ex assessore regionale all’Energia Roberto Di Mauro.
Il gip del Tribunale di Agrigento ha infatti disposto, su richiesta della Procura di Agrigento, gli arresti domiciliari per Alesci. Il provvedimento è stato notificato all’architetto dalla Squadra Mobile di Agrigento. Si tratta di vicende legate alle indagini sugli appalti, che ha già portato all’arresto della famiglia di imprenditori Caramazza di Favara per i reati di corruzione.
E stavolta il procuratore Giovanni Di Leo, magistrato schivo e che mai nel rispetto della sua funzione, ha rilasciato dichiarazioni, ha diffuso una nota che, probabilmente, prende spunto da una nota che nei giorni scorsi era stata diffusa dal sindaco di Agrigento, Franco Miccichè, che – nella sostanza – spiegava di temere il blocco dei lavori della rete idrica.
La dichiarazione del procuratore
«Nel segnalare l’impegno di tutto il personale della Squadra Mobile di Agrigento in questa indagine – ha scritto il procuratore Di Leo – che dura da circa un anno e che non è finita, preme rilevare alcuni dati oggettivi, anche a parziale rettifica di alcune prese di posizione pubbliche che hanno commentato una indagine ancora in corso, non essendo pienamente a conoscenza dei fatti. Indagini della complessità di quella in esame – ha spiegato il capo della Procura – non possono essere contenute nei termini indicati dal legislatore per le intercettazioni, con una recente modifica del codice di procedura penale, che ha lasciato comunque al Pubblico Ministero ed al Giudice di valutare l’emergenza di elementi che impongano nel caso concreto la prosecuzione dell’attività. I tempi di una attività amministrativa complessa sono di norma assai più lunghi e in ogni momento possono inserirsi in essa fenomeni devianti dal buon andamento della P.A.. Le intercettazioni sono e restano, pertanto, uno strumento indispensabile per l’accertamento di reati a concorso necessario, come quelli oggetto di indagine, dove non è pensabile che il corrotto o il corruttore si presenti spontaneamente a denunziare i fatti che lo coinvolgono, o che un terzo, vista la natura illecita e segreta dell’accordo corruttivo, possa venire a conoscenza del medesimo e riferire alla autorità giudiziaria o di polizia. Gli attuali controlli amministrativi esistenti, già in parte depotenziati, non appaiono sufficienti a garantire sprechi e ruberie».
«L’obbligo dell’Ufficio requirente o del personale di polizia giudiziaria di reprimere detti fenomeni – ha aggiunto Di Leo – è ulteriormente reso più gravoso dalla intervenuta abolizione di un reato-spia, come l’abuso d’ufficio, che spesso permetteva di avviare indagini più complesse. Il quadro normativo attuale sembra pertanto volgere ad una richiesta di sostanziale “impunità” per detti reati, che non può essere ovviamente accolta, finchè il reato di corruzione resta nel codice penale, da chi costituzionalmente è chiamato ad esercitare l’azione penale, e quindi ad indagare, in modo autonomo, indipendente e nel rispetto del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge».